Edward Hopper, 11 A.M., 1926
collezione privata
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JOYCE CAROL OATES
"11 A.M.", 1926 DI EDWARD HOPPER
Lei è nuda ma ancora indossa le scarpe. Vuole pensare nuda. Felice nel suo corpo.
Anche se è un corpo che invecchia in carne. E la sua postura sulla poltrona — protesa in avanti, le braccia sulle ginocchia, a fissare fuori dalla finestra — le fa gonfiare il ventre, ma che diavolo.
Che diavolo, lui non è qui.
Ha vissuto in questo dannato appartamento della Third Avenue,Twenty-third Street, Manhattan, quanti dannatissimi anni, devono essere almeno quindici. Si è trasferita in città da Hackensack, per il bisogno di respirare.
Non si è mai guardata indietro. Certo, l’hanno chiamata egoista, crudele. Al diavolo, l’uso che avrebbero fatto di lei, sarebbe stata risucchiata come midollo.
Il primo la oro è stato di archivista al Trinity Trust. Sprecò tre anni della sua giovane vita ad aspettare che R.B. lasciasse la moglie e non pensava che una ragazza come lei avrebbe voluto di meglio?
Secondo lavoro sempre archivista ma poi promossa a segretaria nello staff del signor Castle alla Lyman Typewriters. Il vecchio bastardo alla fine avrebbe potuto fare di più e lo avrebbe fatto se non ci fosse stata la faccia grassa di Stella Czechi.
Terzo lavoro, Tvek Realtors & Insurance e lei è la segretaria privata di Tvek: cosa farei senza di te, mia cara?
Finché Tvek la paga in maniera decente. E non la delude, come lo scorso Natale. Avrebbe voluto morire.
Odia questa dannata stanza. Illuminata in maniera indistinta come una regione dell’anima in cui la luce non penetra. Il vecchio arredamento morbido e malconcio e il materasso cascante come tutti quei corpi nei sogni che sentiamo ma non vediamo. Ma lei tiene il suo letto fatto ogni maledetto giorno, che ci siano visitatori o no.
A lui non piace il disordine Le ha detto di come ha imparato a farsi il letto nell’esercito nel 1917.
Il trucco, dice, è fare il letto appena ti alzi.
Si stacca da lei non appena ha finito. Pelle appiccicosa, gambe pelose, chiazze di peli ruvidi sulle spalle, sul petto, sul ventre. Le piacerebbe che la abbracciasse, potrebbero addormentarsi insieme, ma raramente ciò accade. Pazzo di lei, poi, a un tratto, è finita ... è dentro la testa di lei, e lei è dentro la testa di lui.
Stamattina sta pensando a quel maledetto bastardo, questa deve essere l'ultima volta. Aspetta che lo chiami per spiegare perché non è venuto la scorsa notte. E c'è la possibilità che possa venire qui prima di chiamare, cosa che ha fatto più di una volta. Non poteva stare lontano. Dio, sono pazzo di te.
Pensa che darà al bastardo ancora dieci minuti.
Lei è Jo Hopper con il suo viso semplice di rossa allungato sul volto di donna carnosa e lui è l'artista ma anche l'amante e la scorsa settimana è venuto a portarla da Delmonico ma in questa stanza poco illuminata avevano fatto l'amore nel suo letto e non erano mai usciti prima che fosse troppo tardi e lei lo aveva sentito spiegare al telefono - c'era il suono della voce di un uomo che spiega a una moglie che è così magra, così vigliacca, e malata di uno sprezzante richiamo. Eppure dice che ha lasciato la sua famiglia, che la ama.
Si passa le mani sul corpo come un cieco che cerca di vedere. E lo splendore sul suo viso è infossato e segnato, ha bisogno di lei come l'uomo affamato ha bisogno di cibo. Muoio senza di te Non lasciarmi.
Le aveva detto che non era quello che pensava. Non era la sua famiglia a impedirgli di amarla quanto poteva, ma nella sua vita non aveva mai raccontato a nessuno della guerra, in fanteria, in Francia. Una cosa che lo paralizzava. Cose che gli erano successe, e cose di cui era stato testimone e cose che si aveva perpetrato con le sue stesse mani. E lei gli aveva preso le mani e le aveva baciate, e le aveva portate al seno che doleva come il seno di una giovane madre ansiosa di dare latte e nutrimento. E lei gli aveva detto No. Questa è la tua vecchia vita. Io sono la tua nuova vita.
Gli darà ancora cinque minuti.
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